In questi primi mesi del 2022 ha avuto ampia eco una decisione della Corte di Cassazione che ha negato la validità del marchio “Spaghetto quadrato” rivendicato da un noto pastificio italiano per identificare un tipo di spaghetti a sezione non tonda, ma quadrata.

La Corte Suprema ha ritenuto il marchio costituito da una mera indicazione delle caratteristiche del prodotto, privo quindi del requisito del carattere distintivo. Ha altresì negato la ricorrenza dei presupposti del secondary meaning, cioè di quella convalida che il sistema accorda ai marchi per i quali si dimostri la sopravvenuta distintività.

La vicenda riveste un particolare interesse rispetto alla questione della adeguata valorizzazione degli elementi distintivi nel settore alimentare, tenuto conto che, pur denominativo, il marchio in questione evoca unicamente la forma del prodotto che identifica e che la forma stessa può costituire un marchio.

Si dice del resto che, prima di tutto, si mangia con gli occhi e se ciò è vero, è tanto più vero che un prodotto alimentare si sceglie con gli occhi, cosicché il suo appeal, il suo valore concorrenziale, a parità di qualità e di caratteristiche organolettiche, risiede nella sua forma, nel suo aspetto.

E’ un fenomeno in crescita la tendenza a cercare di fruire della tutela del marchio anche per quel che riguarda l’aspetto individualizzante di un prodotto alimentare.

L’esclusiva conferita dal marchio è infatti l’unica nel panorama degli strumenti di protezione della proprietà industriale ad essere sostanzialmente perenne (la durata di dieci anni della registrazione è rinnovabile ad libitum).

Occorre tuttavia tenere presente che il sistema prevede un divieto di accesso alla tutela come marchio per le forme considerate necessarie, utili e/o tali da conferire un valore sostanziale al prodotto, forme escluse dall’appropriazione come marchio in ragione di un ritenuto preminente interesse della collettività alla loro libera disponibilità.

La questione della tutela come marchio della forma di un prodotto alimentare è questione antica.

In applicazione del sopra ricordato divieto (vigente nella normativa nazionale come in quella comunitaria) tale tutela è stata spesso negata.

E’ solo per esempio che si ricorda che vi sono incorse, a vario titolo e nonostante gli sforzi creativi impiegati dai legali, la forma individualizzante dei notissimi ovetti di cioccolata marrone fuori e bianchi dentro popolarissimi tra i bambini di quasi tutto il mondo, quella dei biscottini tipo Madeleine di proustiana memoria e tante altre ancora.

Non mancano però, anche nel passato, esempi di segno opposto, cioè decisioni a favore della proteggibilità come marchio della forma di un prodotto alimentare.

Per tutti, si ricorda, oltre al caso di scuola “internazionale” della tavoletta di cioccolato a forma di cingolato, quello della tipica forma ovaloide di uno snack salato costituito da un estruso a base di patate, il cui valore distintivo è stato riconosciuto dalla giurisprudenza italiana in ripetute occasioni sulla base di una accorta ricostruzione dell’autonomia delle caratteristiche morfologiche individualizzanti.

Nel perseguire l’obiettivo di una tutela come marchio per l’aspetto di un prodotto alimentare (configurabile come una forma non necessaria , non utile, né conferente un valore determinante al prodotto, per evitare di incorrere nel sopraricordato divieto), occorre tenere a mente che la riuscita dipende in massima parte dagli sforzi impiegati per affermarne adeguatamente l’immagine sul mercato, nel senso di attente valutazioni delle occasioni di uso nei diversi contesti comunicazionali e di scelte operate con lo scopo di svincolare tale immagine dagli altri segni distintivi denominativi e figurativi utilizzati dall’impresa.

Tutte queste iniziative, se ben congegnate, possono determinare l’accrescimento della capacità distintiva del segno e, nell’ipotesi di controversia relativa alla validità, il dossier delle relative prove costituirà un elemento di supporto molto utile, indispensabile.

Occorre avere anche presente che soprattutto per la forma, e comunque in ogni caso in cui si rivendichi come marchio un segno atipico (oltre alla forma, per esempio il colore, la fragranza che di un alimento potenzialmente individualizzanti), rispetto alla valutazione del carattere distintivo la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere decisiva la specifica evidenza della percezione che il consumatore di riferimento ne abbia come marchio, ovverossia come identificativo dell’impresa dalla quale proviene.

Si tratta di una prova che si raggiunge attraverso le indagini demoscopiche, strumento al quale raramente i Giudici ricorrono in autonomia (cioè attraverso la consulenza tecnica), ma i cui risultati apprezzano grandemente.

Tornando all’argomento dal quale si è partiti, cioè alla recente sentenza che ha negato la validità di un marchio costituito dalla descrizione della forma (quadrata) di uno spaghetto, è verosimile ritenere che a fronte dei risultati confortanti di un’indagine demoscopica, anche in questo caso le conclusioni dei Giudici avrebbero potuto essere di segno opposto.