La sentenza n. 2981 del 6 febbraio 2020 costituisce un’interessante decisione della Corte di Cassazione riguardo alla specifica disciplina dettata dall’art. 98 l.d.a. per il ritratto fotografico.

Secondo la norma citata, la riproduzione del ritratto fotografico, salvo patto contrario, non necessita del consenso del fotografo, al quale non è dovuto altro che un equo corrispettivo per l’eventuale commercializzazione.

La Suprema Corte ha enunciato con particolare efficacia i principi in materia, respingendo la tesi delle ricorrente che prospettava l’applicazione analogica dell’art. 98 l.d.a. in un caso di effigie riprodotta con il mezzo della scultura.

Si legge nella sentenza che la libera riproducibilità del ritratto fotografico nei termini dell’art. 98 l.d.a. si fonda sulla presunzione che si tratti di una immagine semplicemente ottenuta con un mezzo meccanico, mentre, al contrario, ogni rappresentazione fatta con il mezzo della scultura costituisce opera d’arte, in quanto espressione di tecnica e sentimento del proprio autore.

La Corte di Cassazione ha peraltro aggiunto che le fotografie che ritraggono immagini di persone sono state presuntivamente inserite dal legislatore tra le fotografie semplici (art. 87, 1° l.d.a.) e non tra le opere fotografiche (non fruendo quindi della tutela del diritto morale d’autore) sul rilievo che affinchè si parli di opera d’arte fotografica è necessario dimostrare un quid pluris, il requisito della creatività, che ricorre quando la fotografia è il risultato della creazione intellettuale del suo autore, che non si è limitato ad una mera rappresentazione della realtà, ma ha trasmesso nello scatto la propria sensibilità, la propria particolare interpretazione della realtà e la propria personale elaborazione.